sabato 17 luglio 2010

SVELATO IL BARBAGELATA ed alcune note iconografiche


Don Giulio Grosso svela ai presenti il restaurato polittico


Attesa e curiosità hanno tenuto sospesi i numerosi presenti martedì sera, nella chiesa Collegiata di Sant’Ambrogio a Varazze durante la presentazione dell’intervento di restauro, da poco concluso, sulla importante opera cinquecentesca del Barbagelata.
Serata introdotta dal Prof. Marco Damonte, tesoriere del Circolo Culturale Kairos, e pro-nipote proprio di Mons. Calandrone che operò per il recupero dell’opera a metà del secolo scorso. Hanno portato il loro iniziale saluto le autorità presenti, a cominciare da Mons. Vescovo Vittorio Lupi, il Parroco di Sant’Ambrogio Can. Giulio Grosso e dal Sindaco di Varazze, a nome della amministrazione, Prof. Giovanni Delfino ricordando come proprio il 13 luglio il calendario fissa memoria del “nostro” Beato Jacopo.
Menzionati tutti gli enti patrocinatori e che hanno collaborato all’evento, necessaria la sinergia di diverse figure coinvolte, a comunicare da chi ha lavorato per il restauro dell’opera: la Diocesi di Savona – Noli , Ufficio Beni Culturali, con la Parrocchia di Sant’Ambrogio, la Soprintendenza ai beni artistici della Regione Liguria, il laboratorio del restauratore Nino Silvestri, la Compagnia San Paolo di Torino che ha compartecipato con la Parrocchia alla non indifferente spesa d’intervento; Il Circolo Culturale Kairos con il Centro Studi Jacopo da Varagine, i Padri Domenicani di Varazze e la Parrocchia dei Santi Nazario e Celso. Vera propria sinergia necessaria come da programma per poter al meglio onorare la memoria del Beato Jacopo, nostro compatrono e tale importante evento storico-artistico.
Intervento del dott. Paolo Pacini dell’ Ufficio Diocesano Beni Culturali, “conservare e presentare l’arte sacra oggi”, il quale ha introdotto ai presenti la realtà e le modalità a cui fare riferimento per poter avviare interventi simili, la necessità di rifarsi correttamente e puntualmente agli uffici competenti, il prezioso operato dei Parrocci, così come anche dei laci per il mantenimento di tale nostro immenso patrimonio artistico, la procedura per avviare richiesta di contributi e la collaborazione con la Soprintendenza, anche in tempi di scarsità di risorse economiche, indispensabile per la messa in opera degli interventi, riqualificazione e “ricerca” storico-artistica.
Successivamente, coadiuvato da proiezione digitale, il dott. Massimo Bartoletti, della Soprintendenza ai beni storici, artistici ed etnoantropologici della Liguria , trattando il tema “Giovanni Barbagelata e la pittura tra fine XIV e XV secolo” ha ripercorso con numerose e significative immagini l’evoluzione artistica del Barbagelata, cominciando dal Polittico dell’Annunciazione a Calvi in Corsica, confrontandone la mano con alcuni contemporanei, le linee pittoriche e tratti caratteristici. L’occasione del restauro è stata anche opportuna per recuperare in Soprintendenza la storia della vicissitudini dell’importante Polittico, che fu veramente “ritrovato” e che si può dire colga nella serata di martedì 13 luglio una nuova riscoperta. L’importante opera giunse però alle soglie del XIX secolo pressoché abbandonata e dimenticata. Nel corso del secolo fanno testimonianza le lettere inviate dallo storico Giovanni Patrone, nel 1929 e 1935, alla Regia Soprintendenza (Liguria-Piemonte-Valle d’Aosta), nelle quali segnala e riporta la presenza delle tavole, disgiunte, in particolare del centrale San’Ambrogio. Immagini immortalate all’epoca per l’editore Sansoni di Firenze. Il panello centrale, individuato singolarmente, fu sottoposto ad un intervento di restauro per essere esposto, l’appurata la paternità – firma – del Barbagelata accese quindi nuovamente l’interesse per la magnifica opera, riconoscendone i tratti. Si giunge così alla storia degli ultimi sessant’anni, passata la furia della guerra, per interessamento di Mons. Francesco Calandrone nel 1949 si sottopose a intervento di restauro l’intera opera, disposto dalla Soprintendenza alle Gallerie ed Opere d’Arte della Liguria. Restauratore fu il Fiscali. Del lavoro di restauro se ne occupò il prof. Gian Vittorio Castelnovi della detta Soprintendenza.
Lo stesso Castelnovi nella sua relazione del 1951 : “nell’ambito della più arcaicizzante tradizione ligure, la sua personalità è caratterizzata da modi rudi ma schietti ed incisivi; le sue figure sono costrutte e tornite come statue, i panneggi hanno consistenza e rigidezza metalliche… in particolare la figura di S. Ambrogio in trono ricalca quella della tavola di S. Nicolò a Pietra Ligure, di due anni precedente, anch’ essa probabilmente comparto centrale di un polittico; in quest’ultima il segno è meno incisivo e le figure di minore solidità e nitidezza. Il polittico di Varazze denuncia quindi notevoli progressi rispetto al suo predecessore di Pietra Ligure ed è considerato uno dei massimi capolavori del Barbagelata.” Immagine di san Nicola, molto simile a quella di Sant’Ambrogio, con la quale lo stesso dott. Bartoletti si è apprestato a chiudere il suo documentato quanto interessante intervento.
La parola è passata allora al restauratore genovese Nino Silvestri, ha illustrato le fasi del restauro. Partendo dalla situazione in cui versava l’opera prima dell’intervento, le parti più danneggiate ed esposte, ha ricordato come non solo manca della tavola centrale del registro superiore ma anche della cornice e pertanto le tavole vennero in passato ridimensionate. Le gravi fessurazioni, la rigida intelaiatura, così come si usava in passato, che ha però reso fisse le tavole, ingabbiando il legno nei suoi naturali assestamenti. Ha illustrato ai presenti le tecniche più sofisticate per lo studio dei colori, naturali, a raggi UV e le micrometriche operazioni di campionamento. Le fasi della pulitura e del ritrovato splendore. Il Silvestri ha inoltre evidenziato l’importanza dell’ambiente in cui è collocata l’opera, della temperatura-riscaldamento, tasso d’umidità ed illuminazione, ormai a fronte delle recenti acquisizioni non più trascurabili per una corretta conservazione.
Il Frate Predicatore, Fra Giacomo Grasso, ha concluso la serie degli interventi , con il tema “ S. Ambrogio secondo Jacopo da Varagine”, esempio di presentazione di un importante Santo da parte dell’Arcivescovo genovese, partendo dal significato etimologico del nome “Ambrogio” . Non atto tanto allo stupore narrativo dei miracoli, nella prima parte, quanto poi allo stile di vita. “Ambrogio era molto austero. Digiunava tutti i giorni, tranne il sabato e domenica, nonché nelle grandi feste. Ebbe grande carità. Quanto aveva lo dava alle chiese e i poveri, senza serbare nulla per sé. Umile e laborioso scriveva di sua mano le sue opere, finché glielo permise la salute. Nell'apprendere la morte di un sacerdote o di un vescovo li piangeva soprattutto perché lo avevano preceduto e avevano lasciato un vuoto”. Chiamato ad essere Vescovo quando non era nemmeno ancora battezzato ma solo catecumeno, Ambrogio, così come lo raffigura il Barbagelata con il flagello , “combatté” l’eresia ariana. Tipico della sintesi domenicana, Jacopo da Varagine, conclude elencando otto motivi validi per lodare Sant’Ambrogio.
Al termine, i presenti trasferiti in fronte alla Cappella di Sant’Ambrogio, hanno potuto mirare il Polittico in tutto il suo ritrovato splendore, accolto da applausi mentre il Parroco Don Giulio Grosso procedeva nello “svelamento”.


Al termine sulla piazza di Sant’Ambrogio le signore della Azione Cattolica hanno potuto offrire gelato artigianale de “i Giardini di Marzo”.

Anche la contemplazione del bello, l’arte, sia essa figurativa o musicale, susciterà rinnovata preghiera e stupore nel pellegrino che troverà da oggi in Sant’Ambrogio opera splendida che a più di cinque secoli di distanza ha saputo ancora “dirci” qualcosa.

Saluti di SER Mons Vittorio Lupi introduzione di Marco Damonte


Il Parroco di Sant'Ambrogio Can Giulio Grosso


Il Sindaco di Varazze Prof. Giovanni Delfino


Dott. Paolo Pacini - Ufficio Beni Culturali Diocesi Savona-Noli


Dott. Massimo Bartoletti - Soprintendenza Regione Liguria



Il Restauratore Nino Silvestri


Fra Giacomo Grasso o.p. - Convento di Varazze




altre foto su galleria di http://www.ponentevarazzino.com/

Note iconografiche
Al termine alcune considerazioni sulle figure dei santi rappresentati nel Polittico, composto ad oggi da Nove tavole.
Sicuramente più noti nella classica rappresentazione artistica le figure maschili del registro inferiore (da sinistra verso destra) : San Giovanni Battista, San Pietro Apostolo, Sant’Ambrogio in trono – centrale - , San Paolo Apostolo, San Gerolamo.
Meno note le figure femminili del registro superiore per le quali, vista la curiosità suscitata al termine della presentazione, dedichiamo qualche riga di discussione, rimandando per cultori ed appassionati a specifici testi di agiografia, ricordando come la Legenda Aurea sia pietra miliare nella lettura e nella rappresentazione artistica dell’iconografia dei Santi.
Da sinistra verso destra:
La prima figura, cui nella stessa relazione del 1951 il Prof. Castelnovi poneva il punto interrogativo (?), per alcuni Sant’Agnese per altri Santa Dorotea, fa pendere per quest’ultima l’attribuzione più probabile. Infatti Dorotea nacque a Cesarea, città della Cappadocia, presumibilmente da famiglia cristiana e benestante. Di fatti fin da bambina si distingue per le opere di carità, straordinaria saggezza e purezza di cuore. Si era durante la persecuzione di Diocleziano. L’inquisitore volle subito esaminare Dorotea per vedere se era cristiana e, fattala prendere, la fece condurre al suo cospetto, ordinandole di sacrificare agli dei. Di fronte al rifiuto fermo e ripetuto di Dorotea, Sapricio la minacciò ponendola di fronte agli strumenti di tortura, ma la fanciulla non ebbe nessuna paura. Alla fine furono tutti stanchi di quell’incrollabile tranquillità e i giudici emisero la sentenza di morte per decapitazione, cosa che la fanciulla accolse con gioia, ringraziando Cristo che la chiamava alle sue nozze.
Quando la Santa fu davanti al ceppo del boia, chiese di poter avere un breve tempo per poter pregare e in quel mentre ecco che appare accanto a lei un fanciullo bellissimo che portava un cestello dove erano tre mele freschissime e belle e tre splendide rose. Ecco le rose raffigurate nel Polittico che ne adornano il capo , a volte anche frutta e la palma simbolo del martirio. Dorotea protegge in particolare, per la vicenda del cesto di fiori e di frutti, coloro che coltivano frutta e fiori, giardinieri, fiorai e quanti lavorano con fiori e frutta.
Per la sua purezza e l’offerta del cesto con frutta e fiori meravigliosi è patrona delle spose novelle, e dei giovani sposi in genere. Martire nel 284 d.c. circa.

A seguire a seconda da sinistra Santa Margherita d’Antiochia, a cui lo stesso Beato Jacopo dedica alcune pagine. Nasce nel 275 ad Antiochia di Pisidia. Il padre Edesimo o Edesio era sacerdote pagano, per questo ruolo la famiglia di Margherita spiccava per agiatezza e nella vita sociale e religiosa della città. Margherita presumibilmente rimane orfana di madre dai primi giorni di vita, tanto che il padre la affida ad una balia che abita nella campagna vicina.
La balia segretamente cristiana, educa Margherita a questa fede e quando ritenne che fosse matura la presentò per ricevere il battesimo. Tutto ciò avvenne, ovviamente, ad insaputa del padre.
Siamo durante il periodo delle persecuzioni scatenate da Massimiano e Diocleziano, Margherita crescendo apprendeva la storia di eroismi dei fratelli di fede, irrobustiva il suo spirito ispirandosi al Vangelo, si sentiva decisa ad emulare il coraggio dimostrato dai cristiani davanti alla crudeltà delle persecuzioni e nelle sue preghiere chiedeva di essere degna di testimoniare la sua fedeltà a Cristo.
Il padre ignaro di tutto ciò decide di riprendere la figlia ormai quindicenne presso la sua casa di Antiochia. Margherita però non gradiva gli insegnamenti pagani e dopo poco tempo rivelò al padre di essere cristiana. Per tale motivo, il padre non esitò a mandarla via di casa, quindi Margherita ritornò dalla sua balia che l'accolse. In campagna Margherita si rese utile pascolando il gregge e per le altre necessità che si presentavano; essa dedicava molto tempo alla preghiera. Un giorno mentre conduceva le pecore al pascolo, Margherita, venne notata da Oliario, nuovo governatore della provincia; appena la vide rimase colpito dalla sua bellezza e ordinò che gli fosse condotta dinnanzi.
Dopo un lungo colloquio il governatore non riuscì nell'intento di convincere Margherita a diventare sua sposa, essa si dichiarò subito cristiana e fu irremovibile nel professare la sua fede. Il governatore, dopo un lungo interrogatorio, alle risposte di Margherita, controbatte con la flagellazione e l'incarcerazione.
Secondo la tradizione, in carcere a Margherita appare il demonio – così come è raffigurato nel Polittico del Barbagelata, simbolo della tentazione maligna, sotto forma di un terribile drago, che la inghiotte, ma lei armata da una croce che teneva tra le mani, squarcia il ventre del mostro sconfiggendolo. Da questo fantastico episodio, nacque nella devozione popolare quella virtù riconosciuta a Margherita, di ottenere, per la sua intercessione, un parto facile alle donne che la invocano prima dell'inizio delle doglie. (fonte Carmelo Randello)
Dopo un breve periodo di carcere, Margherita è sottoposta ad un nuovo martellante interrogatorio davanti a tutta la cittadinanza, anche in quest'occasione, essa non esita a proclamare a tutti la sua fede e l'aver dedicato a Cristo la sua verginità. Ancora una volta viene invitata ad adorare ed offrire incenso agli dei pagani, ma lei si rifiuta e menziona il brano del vangelo di Matteo dicendo "quando sarete dinnanzi a magistrati e ai presidi, non vi preoccupate come o che cosa dovete rispondere, perché lo Spirito del Padre vostro, che sta nei cieli, parlerà per voi".
Mentre tutti osservavano quanto stava succedendo, una forte scossa di terremoto fece sussultare la terra e apparve una colomba con una corona che andò a deporre sul capo di Margherita.
Questo fatto prodigioso, le affermazioni di Margherita, il suo rifiuto delle pratiche pagane e le molte conversioni che avvennero, mandarono su tutte le furie il governatore che emise la sentenza di condanna per Margherita: "Venga decapitata fuori della città".
Margherita fu decapitata il 20 luglio 290 all'età di quindici anni. Ecco nell’opera la il simbolo della palma del martirio.

Proseguendo verso sinistra Santa Marta.
L’iconografia di Marta è strettamente legata a quella della sorella, Maria Maddalena. Nei vangeli Marta appare in due occasioni: la prima volta quando, con la sorella Maria, riceve nella loro casa il Signore; una seconda volta Marta appare alla morte e alla risurrezione di Lazzaro. Quando il Signore arriva a Betania, Marta è la prima a levarsi per riceverlo e ode il solenne avvertimento di Cristo “Io sono la Risurrezione e la Vita”. Vuole quindi trattenere il Signore che chiede l’apertura del sepolcro di Lazzaro: “Signore, già puzza, perché è morto da quattro giorni”.
La ritroviamo infine solo al banchetto di Betania, dove non parla e si limita a provvedere al servizio della tavola.
Se la preoccupazione degli artisti nel ritrarre la Maddalena è stata prevalentemente quella di mettere in risalto la bellezza, a scapito talvolta della spiritualità e della religiosità, nelle raffigurazioni di Marta si è accentuato il carattere austero della figura, dandole un certo carattere statico.
Poche sono le immagini che ce la propongono in modo diverso dalla severa matrona in vesti quasi monacali, con il viso fermo, circondato dal soggolo bianco, tanto simile a centinaia di altre sante.
Il dragone vinto e l’aspersorio, così come nel Polittico di sant’Ambrogio in Varazze, assume a volte le più strane fogge, compaiono in moltissime raffigurazioni. Il motivo del drago vinto è tanto comune nell’iconografia dei santi. Lo stesso Jacopo da Varagine le dedica un racconto nella sua Legenda Aurea definendola come “colei che ospitò cristo”.

Ultima figura femminile da destra verso sinistra del registro superiore è Santa Barbara.
Nacque a Nicomedia nel 273. Si distinse per l'impegno nello studio e per la riservatezza, qualità che le giovarono la qualifica di «barbara», cioè straniera, non romana. Tra il 286-287 Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, oggi in provincia di Rieti, al seguito del padre Dioscoro, collaboratore dell'imperatore Massimiano Erculeo. La conversione alla fede cristiana di Barbara provocò l'ira del padre Dioscoro. Culto che fin dall’antichità fu assai diffuso, tanto in Oriente quanto in Occidente; invece, per quanto riguarda le notizie biografiche, si possiedono scarsissimi elementi: il nome, l’origine orientale, con ogni verisimiglianza l’Egitto, e il martirio. La leggenda, poi, ha arricchito con particolari fantastici, a volte anche irreali, la vita della martire: si tratta di particolari che hanno avuto un influsso sia sul culto come sull’iconografia.
Il padre di Barbara, Dioscuro, fece costruire una torre, classico elemento iconografico della Santa cui si rifà anche il Barbagelata, per rinchiudervi la bellissima figlia richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di consacrarsi a Dio. Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d’acqua vicino alla torre e vi si immerse tre volte dicendo: “Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Per ordine del padre, la torre avrebbe dovuto avere due finestre, ma Barbara ne volle tre in onore della S.ma Trinità (così come nella tavola del politico). Il padre, pagano, venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, decise di ucciderla, ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire. Nuovamente catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente. Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito; poi, visti inutili i tentativi, ordinò di tormentarla avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla sanguinare in ogni parte. Durante la notte, continua il racconto seguendo uno schema comune alle leggende agiografiche, Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata. Il giorno seguente il prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture: sulle sue carni nuovamente dilaniate fece porre piastre di ferro rovente. Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti cristiani, venne associata al martirio: le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero quasi subito. Barbara, portata ignuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante l’ordine di flagellazione. Finalmente, il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso che eseguì la sentenza. Ecco anche a Santa Barbara associata la Palma del Martirio. Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò completamente il crudele padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri.
L’imperatore Giustino, nel sec. VI, avrebbe trasferito le reliquie della martire dall’Egitto a Costantinopoli; qualche secolo più tardi i veneziani le trasferirono nella loro città e di qui furono recate nella chiesa di S. Giovanni Evangelista a Torcello (1009). Il culto della martire fu assai diffuso in Italia, probabilmente importato durante il periodo dell’occupazione bizantina nel sec. VI, e si sviluppò poi durante le Crociate.

di Lorenzo Grazioli Gauthier

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